Come è nato il vostro studio, e in che direzione ne avete orientato lo sviluppo?
Lo studio Esprit Architettura è nato in uno spazio nelle vicinanze di Bergamo per iniziativa mia e di Enrico Arbizzani; negli anni successivi abbiamo iniziato a collaborare anche con Gianluca Errori, Lorenzo Redolfo e Stefano Camolese, e a settembre 2011 abbiamo dato vita a questa esperienza con le nostre idee. Ognuno di noi ha competenze differenti, e grazie a questo siamo in grado di proporre un ventaglio di servizi a 360 gradi, che spaziano dall’interior design alla progettazione architettonica. Dal 2010 abbiamo cominciato a partecipare a concorsi nazionali per poi orientarci verso quelli internazionali; una scelta che si è rivelata vincente perché ci ha portato a confrontarci con metrica, termini, filosofie e logiche internazionali, e ad inserire nello staff dello studio una figura professionale dedicata alla grafica e al design, Veronica Balacchi, grazie a cui curiamo le presentazioni e la post produzione del progetto. Abbiamo sviluppato una stretta collaborazione con le Università e le scuole, investendo costantemente sulle nuove leve; con il contributo di un nostro collaboratore esperto di droni abbiamo iniziato a sperimentare tecniche avanzate come il rilievo a nuvola di punti tramite drone, mentre utilizzando le competenze di un altro nostro collaboratore, Luca Manelli, stiamo approfondendo ulteriormente le potenzialità di ARCHICAD con l’obiettivo di farne l’unica piattaforma software per tutti i servizi offerti da Esprit.
Il fatto di essere stato visiting professor all’Università di Bergamo mi ha portato a un costante contatto con le nuove generazioni, tanto che cinque ragazzi che lavorano con noi hanno un’età che va dai 23 ai 26 anni. Per noi, infatti, è fondamentale investire sui giovani, perché questo aumenta la nostra ricettività e aggiornamento sulle novità proposte dal mondo della ricerca e dall’evoluzione di tecnologie e materiali.
Dal punto di vista organizzativo, il nostro studio è strutturato in modo da affidare ad ogni collaboratore la gestione diretta e autonoma d una serie di progetti, in modo da consentire a noi soci fondatori di dedicare il giusto tempo e attenzione a gare, concorsi e, più in generale, all’acquisizione di ulteriori competenze e saperi. Ogni anno il nostro studio implementa lo sviluppo di nuove aree di competenze; in questa fase, in particolare, ci stiamo dedicando allo sviluppo di nostri protocolli interni, decidendo di investire ulteriormente su patrimonio umano e tecnologie, ma non solo. Ad esempio, partecipiamo attivamente alle iniziative promosse dall’Ordine degli Architetti e siamo fortemente attivi nell’ambito della nostra provincia, oltre a essere fortemente propositivi anche in relazione a servizi collaterali come quelli relativi alla certificazione energetica e la sicurezza.
Quest’anno abbiamo inoltre definito due obiettivi strategici: il primo, rilevante sotto il profilo delle logiche economiche dello studio, riguarda l’implementazione di una serie di azioni di marketing, mentre il secondo si focalizza sull’approfondimento delle nostre conoscenze software in modo da sfruttarne al meglio le potenzialità. Abbiamo quindi fatto ricorso a un formatore ARCHICAD, impostando parallelamente un processo di lavoro più aderente alla logica di questo software. Il tutto sulla scorta di una valutazione ben precisa: utilizzando ARCHICAD in modo esteso in un progetto di medie dimensioni, dalla firma del contratto fino alla consegna dell’opera, ci è possibile diminuire i tempi di lavoro necessari di circa il 30%, un aspetto determinante per uno studio come il nostro. Abbiamo inoltre constatato che presentare un progetto BIM, che include un numero e varietà di informazioni assolutamente imparagonabili rispetto a quanto solitamente compreso negli elaborati cartacei, presenta ricadute fortemente positive nelle relazioni con la committenza, e in particolare con le imprese, grazie a un approccio basato sul massimo livello di controllo del progetto e delle sue variabili. Il tutto senza perdere di vista anche una certa “materialità” del progetto, testimoniata dal nostro ritorno alla realizzazione di modelli fisici in scala.
Alla luce degli annosi dibattiti sul tema, ritenete che l’utilizzo sempre più estensivo delle tecnologie informatiche all’interno del processo progettuale rappresenti un’arma in più o un limite al processo creativo?
Ricorro a un esempio. Personalmente ritengo che, oggi, negare al proprio figlio la possibilità di guardare la televisione sia sbagliato: va esercitato un controllo su tempi e programmi, certo, senza però negarla. Seguo lo stesso ragionamento anche per quanto riguarda il rapporto fra tecnologia e architettura. La nostra generazione nasce come l’ultima interamente “analogica”, e abbiamo ben chiari i processi che seguivamo nel recente passato; ma proprio per questo la tecnologia non ci spaventa, in quanto abbiamo questo tipo di “radici” e sappiamo bene quanto tempo era necessario per concludere un progetto prima dell’arrivo dei software. Nelle dinamiche legate alla progettazione, in particolare, credo ci siano vantaggi infiniti nell’utilizzo delle tecnologie digitali, pur senza sottovalutare il rischio di non riuscire più ad essere indipendenti dal computer. Resta comunque il fatto che ciò che oggi viene chiesto ad un architetto è completamente diverso da quanto atteso anche solo vent’anni or sono, e questo mutamento comporta necessariamente l’adozione delle nuove tecnologie.
Da quanto utilizzate ARCHICAD?
Nelle prime fasi della nostra collaborazione abbiamo usato diversi strumenti di progettazione assistita, senza averne uno di riferimento. Abbiamo scelto di passare ad ARCHICAD nel momento in cui alcuni soci, con un passato professionale all’interno di studi in cui veniva usato questo software, ce ne hanno illustrato le potenzialità; abbiamo così deciso di ripartire tutti da zero, scegliendo come comune denominatore proprio ARCHICAD.
Quali progetti in particolare state sviluppando utilizzando questo processo?
Potrei citarne diversi, ma per sintesi segnalerei quello per un nuovo comparto industriale a Grumello del Monte (BG) e quello per una nuova cantina vinicola a Vignale di Monferrato (AL). Inoltre, si dimensioni più contenute e completato, ma che è stato per noi fonte di grande soddisfazione, vorrei sottolineare la progettazione e realizzazione di “Domus Bergamo”, la struttura dal design particolarissimo che ha svolto la funzione di punto di riferimento per gli eventi cittadini e, al tempo stesso, da collegamento con EXPO 2015 e Fuori Expo Milano.
Questa scelta vi sta aiutando in termini di efficienza complessiva dello studio?
Dopo aver seguito un percorso di aggiornamento e di preparazione per utilizzare ARCHICAD sfruttandone tutte le potenzialità abbiamo cominciato a notare un aumento nell’efficienza operativa di Esprit. Alcuni esempi pratici: nel progetto per la cantina vinicola a Vignale di Monferrato ci siamo dati degli obiettivi in accordo con i tecnici che collaboreranno alla progettazione, decidendo di iniziare a utilizzare un drone per il rilievo topografico. In questo modo abbiamo introdotto un processo basato su nuove tecnologie, e da subito ne abbiamo riscontrato i benefici, ad esempio in termini di precisione delle quote rilevate con questa metodologia. In seconda battuta abbiamo cercato di implementare questa tecnologia con ARCHICAD attraverso un percorso complesso, ma molto stimolante. In altre parole, stiamo cercando di sviluppare solide competenze in ambito BIM, anche se rileviamo ancora una certa carenza di interlocutori preparati. Proprio per questo stiamo valutando l’opportunità di fare del BIM un servizio da proporre a terzi, nell’ottica di un ampliamento del business in un’area che é comunque parte integrante della nostra professione. Su un piano più generale ribadiamo la nostra convinzione ad investire in nuove tecnologie finalizzate allo sviluppo di progetti avanzati; ad esempio, utilizzare i droni per arrivare alla fase as built e fare di questa metodologia uno standard.
Crede che il passaggio ad ARCHICAD sia rivoluzionario quanto quello del CAD?
Sì, ma per certi versi ancora più critico; chi ha sempre sostenuto che il processo progettuale dovesse essere analogico con il CAD si è “semplicemente” trovato in difficoltà, mentre ora, di fronte al nuovo salto metodologico introdotto dal BIM, rischia di esserne escluso. Noi abbiamo scelto di partecipare a questo sviluppo e provare a introdurre nella nostra realtà professionale dei cambiamenti, seguendo un percorso che dall’analogico passa al digitale per arrivare al teamwork, sviluppando processi che permettano di risolvere preventivamente problemi che con la classica progettazione 2D e 3D sarebbero emersi solo in fase di cantiere. L’approccio BIM, al contrario, presenta importanti ricadute non solo in fase di progetto ma anche in quella di cantiere, a tutto beneficio anche di impresari e investitori. Nelle relazioni con il committente il BIM rappresenta infatti un importante valore aggiunto, in quanto consente di presentare alla clientela un progetto le cui criticità sono già state preventivamente affrontate e risolte, a costi certi e già definiti. un risultato impensabile senza l’ausilio di questo approccio.
In conclusione, perché avete scelto ARCHICAD?
Fondamentalmente perché abbiamo intuito le potenzialità insite in ARCHICAD, anche se in fase di avvio ancora non eravamo in grado di sfruttarle pienamente. Oggi, dopo una adeguata formazione, siamo molto più rapidi ed efficienti, e non possiamo che consigliarne l’adozione – accompagnata da un percorso di apprendimento – a colleghi e partner.
Il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori ha infatti organizzato, per la prima volta in Italia con questa modalità, l’iniziativa “Open, Studi Aperti” che vedrà coinvolti centinaia di studi professionali di tutta Italia, compresi quelli di Renzo Piano, e Mario Cucinella, attraverso l’organizzazione di specifici eventi.
“Open, Studi Aperti” è un grande abbraccio culturale che ha l’obiettivo di avvicinare i cittadini agli architetti, per farne comprendere l’importanza del ruolo come protagonisti delle trasformazioni dello spazio pubblico e privato, nonché come portatori di valore sociale, perché contribuiscono a risolvere, a diversa scala, le questioni sociali, economiche e culturali della nostra società. “Open, Studi Aperti” unirà in un unico fil rouge tematiche come la sicurezza dell’abitare, lo sviluppo sostenibile, la convivenza e l’integrazione, la valorizzazione delle bellezze del paesaggio e dei territori e la tutela del patrimonio artistico.
Circostanza di particolare rilievo nell’iniziativa, organizzata dal Dipartimento Promozione della Cultura Architettonica e della figura dell’Architetto del Consiglio Nazionale degli Architetti, coordinato da Alessandra Ferrari, è quella di vedere coinvolti insieme professionalità diverse, architetti di fama mondiale e giovani professionisti che iniziano la loro carriera, uniti in una grande azione di testimonianza della funzione sociale dell’architettura.
Mutuato dall’esperienza francese, Studi Aperti è infatti un’opportunità preziosa per far conoscere il mondo dell’architettura al grande pubblico e ai non addetti ai lavori. Un’occasione unica per entrare negli studi degli architetti liberamente, in quanto aperti alla gente per due giorni consecutivi. Quest’anno, in tutta Italia, cittadini, passanti, viaggiatori e semplici curiosi potranno accedere negli studi che presenteranno il proprio lavoro organizzando anche eventi, mostre o allestimenti o semplicemente si renderanno disponibili per permettere ai visitatori di intrattenersi e conoscere i diversi settori in cui operano gli architetti anche con le rispettive specializzazioni.
«A Bergamo Studi Aperti è ormai una tradizione, frutto di una iniziale collaborazione tra il nostro Ordine e quello di Parigi – sottolinea Alessandra Morri dell’Ordine degli Architetti di Bergamo, tra i primi a livello nazionale a promuovere l’iniziativa -. Abbiamo cominciato nel 2015 e quest’anno, grazie al Consiglio Nazionale, gli studi aprono in tutta Italia in più di 80 province. Un grande onore per l’Ordine di Bergamo essere stato tra i pioneri. Una grande occasione per parlare di architettura attraverso gli studi degli architetti a Bergamo e in provincia, per ribadire il compito fondamentale della buona progettazione».
L’ELENCO DEGLI STUDI BERGAMASCHI ADERENTI
6ab architects&co – via Borgo Santa Caterina, 85 – Bergamo
A23C – via don Luigi Palazzolo, 23/C – Bergamo
Angela Betelli Architetto – via SS. Nazario e Celso, 6 – Suisio
Architecno & Guido Roche – via G. Acerbis, 10/14 – Alzano Lombardo
Mario Alessandro Marco Beltrame Architetto – via F. Coghetti, 196 – Bergamo
Manuela Biffi Architetto – via Broseta, 8 – S. Lazzaro 1/o – Bergamo
Mario Bonicelli Architetto and partners – via Madonna della Neve, 43/45 – Bergamo
Marianna Carrera Architetto – via Longobardica, 21 – Fara Gera d’Adda
Celeri Associati Studio di Architettura – via Rinada, 7 – Torre Boldone
CN10 Architetti – via case Nuove, 10 – Sotto il Monte Giovanni XXIII
Esprit Architettura – via G. B. Moroni, 310 – Bergamo
Nunzio Giarratana Architetto – via Castello, 7 – Verdello
Sandra Marchesi Architetto / staged interiors srls – via Costantina, 8/A – Bergamo
Paolo Mazzariol Architetto – via Coghetti, 196 – Bergamo
Alessandra Morri Architetto – via A. Maj 18/A – Bergamo
OKAM Studio – via Trento, 26 – Curno
Francesca Perani Architetta / FP enterprice – via Cappuccini, 3 – Albino
Gianpietro Perico Architetture – via Roma, 23 – Alzano Lombardo
Studio Architettura Anna Mologni – via Mons. Camillo Carrara – 11 Albino
Studio Associato Scaravaggi Architettura e Urbanistica – viale Cesare Battisti, 8 – Treviglio
Studio Capitanio Architetti – via Montello, 11 – Bergamo
Studio Datei Nani – via Alcaini, 12 Bergamo
Tasso 89 – via T. Tasso, 89 – Bergamo
Uno spazio di socializzazione e di decompressione, capace di valorizzare le cromie e il talento di Palma il Vecchio e accogliere i visitatori della mostra (prima e dopo la visita) avvolgendoli in un mondo fiorito. Questo è il progetto che è stato presentato per colorare il grigio uniforme che da anni caratterizza l’ingresso in GAMeC in occasione della grande mostra che sarà inaugurata a Bergamo fra poco meno di un mese.
Il tutto è partito dalla Fondazione Credito Bergamasco, che ha fatto rientrare nel budget destinato alla mostra anche l’intervento dell’Associazione Arketipos – I Maestri del Paesaggio, ormai arcinoti in città per aver inventato la Piazza Verde (in Piazza Vecchia) e il Meeting internazionale. Ovviamente, i garden designer hanno pensato in grande e hanno progettato un giardino che promette di incantare i visitatori.
Colori accesi e giganteschi wall art. La prima azione della squadra guidata da Maurizio Vegini è stata quella di richiamare a Bergamo un designer eclettico e molto innovativo come Peter Fink, uno dei maestri già operanti per la Piazza di Città Alta, scelto proprio per la sua capacità di realizzare progetti di grande impulso cromatico. Questa volta il grande prato sintetico su cui si potrà camminare sfoggerà un giallo molto acceso e caldo, accostato a un blu cangiante: due tonalità che riprendono i toni delle vesti dipinte dall’artista di Serina.
Uno sforzo importante è stato richiesto alla Sit-In (azienda bergamasca produttrice di moquette ed erba sintetica), che ha creato una colorazione dedicata esclusivamente al progetto GAMeC e studiata proprio sulla palette cromatica di Palma. Le sedute fucsia invece, sono la cifra stilistica di Fink, la sua firma, che impareremo presto a riconoscere. Accanto al maestro britannico hanno lavorato anche la garden designer Lucia Nusiner, che ha curato la scelta delle piante, e l’architetto Maurizio Quargnale, che si è occupato dell’aspetto luminoso collaborando con la Platek di Rodengo-Saiano. A racchiudere questo giardino ci saranno poi alcuni giganteschi wall art, ovvero pannelli di 8-10 metri, griffati dalla Fondazione Credito Bergamasco, che porranno l’accento su alcuni particolari dei dipinti esposti in mostra.
Per i Maestri del Paesaggio si tratta, ancora una volta, di dimostrare come un’area cementizia recuperata attraverso il verde e il colore possa diventare un luogo nuovo della città, promotore di incontri e di scambi sociali. L’effetto scenografico creato dalle luci renderà molto suggestiva anche la permanenza serale, mentre la collocazione di un bar nello spazio riparato del cortile garantirà quel servizio necessario a vivere al meglio lo spazio. Ci saranno 166 sedute di cui 85 “informali”, un’area wi-fi garantita dalla BIG-TLC, betulle, magnolie, frassini, felci, narcisi, salvia e tantissime altre piante che sapranno certamente creare un’atmosfera magica, tanto più perché insolita per chi vive in città.
Non solo un progetto provvisorio. La Fondazione Credito Bergamasco si è presa un impegno più che serio con GAMeC in questo senso, perché non solo ha promosso la creazione del giardino di Palma durante la mostra, ma realizzerà alcune opere strutturali che cambieranno per sempre l’ingresso grigio del museo. Alla fine della mostra verrà rifatta la pavimentazione, mentre le aiuole destinate ad ospitare gli alberi saranno allargate e modificate definitivamente grazie al lavoro dell’Impresa Percassi. Tutti interventi che, seppur meno colorati e enfatizzanti del progetto di Fink, potranno garantire un’attenzione nuova verso l’accoglienza dei visitatori del museo. (Cit )
SofarSounds è un movimento di concerti segreti nato a Londra nel 2009 dalle menti di Rocky Start, Dave Alexander e Rafe Offer come reazione alla situazione dei live moderna. Stanchi di assistere a concerti in locali e pub in cui il pubblico era più interessato a bere piuttosto che prestare attenzione a chi in quel momento si esibisse sul palco, soprattutto se si trattava di un artista emergente, hanno cercato un modo per ridare dignità e importanza alla musica live e agli artisti.
E lo hanno trovato negli appartamenti privati, che sono risultati essere il perfetto contenitore, il giusto modo per ridare quel tocco di magia alla musica live.
I concerti di SofarSounds, infatti, come suggerisce il nome (SOngs From A Room), hanno luogo in appartamenti sparsi in città del mondo e dal 2009 sono stati oltre 50.000 gli artisti a esibirsi.
Proprio in questo passaggio risiede uno dei punti fondamentali della filosofia di Sofar: dal momento che i Sofar concerts avvengono in appartamenti che vengono messi a disposizione spontaneamente da privati, i posti disponibili sono limitati a un numero che può variare dalle 30 alle 50 persone (a seconda della grandezza dell’ appartamento).
L’evento | Provocazioni progettuali attorno a un tavolo……….
Un tavolo grezzo da cantiere, 2,00 x 2,50 m, una manciata di sgabelli, stampe ed immagini, video, pennarelli, matite, una lampada accesa, una scultura, giochi di luce, messaggi, suggestioni; tutt’intorno la città, i cittadini, l’architettura, l’arte: è il manifesto della serata, l’effigie di un evento, sino ad oggi unico nella realtà bergamasca, intriso di provocazione e permeato di poesia.
Il tema discusso è arduo, scomodo, quasi ostico ma, nel contempo talmente essenziale da divenire argomento nodale e dibattuto in secoli di manualistica e letteratura sociale, politica e architettonica.
SCONGELIAMO IL SENTIERONE!!
Scongelare il Sentierone quindi, non solo una metafora necessaria per colpire l’attenzione o per far breccia destando curiosità no, scongelare il Sentierone diventa, in questo contesto, sinonimo di rivitalizzazione del centro urbano, re- impossessamento di spazi perduti, riscoperta di ambienti smarriti nella modernità e quotidianità, rivalutazione insomma, delle potenzialità insite nel cuore della Città che vuole essere intesa, in questa sede, nella sua accezione più propriamente nobile e culturale del termine.
Gli strumenti sono quelli propri dell’architetto: tavoli, disegni, immagini, suggestioni, ma di architetti tra gli intervenuti, ce n’erano pochi. Una provocazione, un modo nuovo di affrontare il tema che fa del coinvolgimento della città – dei cittadini – un presupposto, una necessità.
Da questa forma inconsueta e più moderna di vedere e analizzare il problema, trapela l’importanza che a condividere idee e riflessioni siano chiamati in primis i cittadini nella loro qualità di fruitori ultimi del prodotto architettura e, per questo, primi interessati alla gestione del processo di modificazione urbana.
E la risposta della gente è stata propositiva, un ulteriore motivo di riflessione, una nuova provocazione. La Città vecchia è cambiata,
si è evoluta e la nuova, assurgendo al ruolo di protagonista, dimostra di essere finalmente pronta ad assumersi, dopo anni di forzata quiescenza, la sua quota parte di responsabilità nelle scelte concernenti il proprio futuro.
IL DIBATTITO
Lo stimolo, nel senso vero del termine, è lanciato sul tavolo dalla Proprietà. Due immagini: il cubo di vetro dell’Apple Store di New York e la Piramide vitrea al Louvre. Fotografie di moderne architetture, sovrapposte con malcelata casualità alle planimetrie del fossilizzato centro cittadino di Bergamo bassa.
Il contrasto è stridente, la provocazione è forte; come un punto interrogativo impresso sul muro, un obiettivo da raggiungere, una domanda a cui rispondere.
Il dibattito che ne scaturisce è omnicomprensivo e spazia a tutto campo toccando i temi più vari: Architettura, Arte, Cultura, Commercio, Mobilità, Politica, Storia, Stratificazione, Sviluppo, Teatro, Urbanistica, Viabilità.
I punti di vista si alternano, contrapponendosi ed appoggiandosi l’uno all’altro senza soluzione di continuità, quasi a tessere le fila di un discorso che apparirà, solo nelle conclusioni, univoco e articolato al contempo.
Nel tempo in cui la scultura di ghiaccio si avvia al disgelo, svelando per sequenza d’attimi il prezioso contenuto, i temi proposti vengono trattati, svelando per fasi le loro suggestioni agli uditori.
L’origine come detto è il Centro Piacentiniano, oggi di proprietà dell’Immobiliare della Fiera che, dopo oltre cent’anni, torna a porsi al centro del dibattito architettonico cittadino, alla stessa stregua di quanto successe nel 1907 allorquando il Sentierone, e la vecchia Fiera di Sant’Alessandro, divennero oggetto di discussione, provocazione e riflessione. Allora però, la Città passivamente rimase alla finestra ad ascoltare chi, per suo conto, avrebbe preso scelte fondamentali capaci di condizionarne l’evoluzione urbana, sociale e civica per i secoli a venire.
I risultati, oggetto dell’odierno dibattito, sono sotto gli occhi di tutti: un Centro civico sofferente, ingessato nella sua forte identità monumentale, congelato in un immobilismo evolutivo frutto di decenni di conservatorismo e mancata lungimiranza, cristallizzato in un blocco di ghiaccio.
Come ridargli vitalità, come scongelarlo?
Senza mai scendere nel dettaglio, senza mai modificare la scala d’intervento, di idee sul tavolaccio ne sono state messe tante, tutte valide e tutte, in base ai punti di vista, motivate e giustificabili.
Comune è il proposito di dare nuovo valore agli edifici monumentali intervenendo sull’arricchimento funzionale delle sedi e delle attività commerciali, per esempio anche per mezzo di una stratificazione di funzioni – e di nuove strutture – capaci di instaurare col contesto storico, e storicizzato, rapporti forti di mutua dipendenza. Il disegno spaziale completato con la riorganizzazione urbana dell’intorno è così riconsegnato alla cittadinanza.
È nell’ambito di questa proposta che rientrano le suggestioni dei dehors sul Sentierone. Scatole di vetro, da bandire per concorso pubblico, che si pongono a cavallo del passeggio Bergamasco in trasparenza, quasi a voler scomparire, a non voler pesare. La funzione è duplice: aumentare lo spazio commerciale delle attività a loro prossime e nobilitare, con la riproposizione all’infinito di architetture “effimere”, la percezione del Sentierone soprattutto in occasione degli eventi calendarizzati dall’Amministrazione Comunale. Sempre in quest’ambito, l’edificazione nel perimetro del quadriportico di un box vetrato è una sfida storicistica, un’ennesima provocazione, la cui funzione è variabile: ennesimo contenitore di attività commerciali o incubatore di sperimentazioni culturali da porsi, per esempio, in stretto contatto con il prospiciente Teatro Donizetti. All’architettura per aggiunte si contrappone l’architettura per sottrazione che mira, cioè, a riutilizzare spazi già esistenti e oggi non valorizzati.
Il Centro Piacentiniano è colmo di sorprese. Oltre la sua apparente immobilità, al di là del suo aspetto monumentale
ingessato da decenni d’incomprensione, vi sono potenzialità solo apparentemente nascoste. Un esempio lampante è il sotterraneo dell’ex albergo diurno, prima rifugio antiaereo, che con i suoi quasi mille mq di superficie si offre oggi all’attenzione del dibattito con mutate potenzialità di riuso. In questo senso solo proposte: alcune suggestive, altre utopistiche, molte affascinati, tutte stimolanti. Il tema, per il momento, è solo rinviato.
Tra i concetti basilari passati sul tavolo c’è anche la contrapposizione netta, forte, tra la permeabilità al piano terra degli edifici piacentiniani e l’impermeabilità di alcune funzioni presenti nell’area. Poiché, come detto, la rivitalizzazione del Centro non può prescindere da un re-impossessamento dello stesso da parte dei cittadini, primi fruitori delle funzioni in esso contenute e oggi grandi assenti, è evidente come sia necessario procedere con un’attenta cernita delle attività pubbliche insediate, o insediabili.
Nuovi e ricercati ristoranti, attività commerciali luxury, centri di sperimentazione culturale, spazi teatrali in connessione ed appoggio al Donizetti, cinema, scuole di musica, centri relax, ma anche parcheggi sotterranei, spazi espositivi, il tutto da contrapporre ad impermeabili attività oggi presenti quali, per esempio, enti, banche ed uffici.
I segni grafici, come le parole spese, si susseguono ininterrotti tracciando il senso del dibattito, disegnando logiche sospese tra geometrie architettoniche ed equilibrismi dialettici. I temi trattati, sviscerati nei dettagli più intimi, fermano come singoli fotogrammi di un filmato, il documento di una serata. Solo un punto interrogativo, ancora impresso sul muro, è testimone della complessità del tema.
Contaminazione, scambio, ispirazione sono i pilastri portanti di un laboratorio dalle caratteristiche peculiari.
L’aria nuova che ESPRIT Architettura vuole respirare ha il profumo del pensiero, la fragranza della storicità, è fredda come il metallo, colorata come la città, vibrante come un suono. Musica, danza, arte e tecnologia, infatti, hanno accompagnato l’aperura al pubblico di questo loft, in un ex opificio, a pochi passi dal centro cittadino; unitamente alle parole, alle idee, agli sguardi e all’energia scaturita da tutti coloro che, numerosissimi, hanno voluto salutare quest’avventura durante il suo vernissage. Un’atmosfera post-industriale e al contempo estremamente calda e conviviale, contraddistingue i locali di uno studio che diventa il sunto dell’idea avanguardistica che i suoi ideatori vogliono esprimere. Proposte e creazioni che guardano al futuro senza dimenticare che l’architettura e il design sono fatti per le persone e che le uniche opere che “funzionano” sono quelle che interagiscono con chi le vive e le usa. Per fare ciò le ispirazioni devono essere diverse e totalizzanti e l’inaugurazione ne ha dato un saggio dimostrativo. I locali hanno ospitato, durante la serata d’apertura, una mostra di opere dell’artista Enrico Redolfi e la performarce artistica della scuola danzArea, in un graditissimo vortice sinestetico che mostrava le innumerevoli potenzialità della mente e dello spazio. Sopra tutti la “parete dei maestri” un angolo che raccoglie i ritratti degli architetti del presente e del passato che sono stati fondamentali per la formazione di Enrico, Gianluca, Lorenzo, Pietro e Stefano e che continuano a ricordare loro che oltre il progetto c’è l’opera.